Fedele Confalonieri, presidente onorario di Mediaset, ha parlato ieri, prima che si sapesse della morte di quest’ultimo, di Steve Jobs.
Lo ha fatto durante un Convegno organizzato a Roma dall’emittente Mediaset sulla creatività e diritto d’autore.
Le parole di Confalonieri fotografano bene la capacità di comprendere gli scenari culturali e di business del mondo digitale da parte dell’imprenditoria televisiva.
Confalonieri, parlando dell’attesa che il G 8 digitale di fine maggio scorso voluto da Sarkozy riponeva nelle parole in video conferenza del Guru Americano e dell’emozione che si era sparsa per la sala quando il collegamento audio-video era stato stabilito, ha espressamente detto che l’uditorio sembrava attendere l’intervento “della Madonna” e che lui non capiva proprio il perché, i Capi di Stato e di Governo delle nazioni industrializzate, nonché i maggiori esponenti del mondo dell’internet mondiale e delle telecomunicazioni attendessero con ansia le parole di Jobs, aggiungendo che in effetti non trovava nulla di particolare nelle affermazioni dello stesso imprenditore.
Sfortuna ha voluto che il mondo apprendesse il giorno successivo della scomparsa di Steve Jobs, che il “genio” da tutti riconosciuto fosse ricordato da tutti i Capi di Stato e di Governo, come dai semplici cittadini, che riconoscono in lui l’inventore di un nuovo modello globale di comunicazione e, che tutti i limiti del nostro Paese e dell’attuale classe dirigente nonché degli imprenditori, soprattutto del settore culturale, dell’entertainment e televisivi, apparissero in tutto il loro fulgore.
Limiti che sono emersi in modo solare dagli interventi che si sono susseguiti all’interno dello stesso convegno: si sono sentite ad esempio, pronunciate dal rappresentante di una delle Associazioni di tutela del diritto d’autore, parole secondo cui:
“i modelli di sviluppo degli aggregatori di internet sono modelli di “capitalismo primordiale di rapina”.
“Gli over the top ( ovvero nella fattispecie si tratta di google e di facebook) non hanno alcun piano industriale”-
“L’utilizzo gratuito di contenuti è un tipico esempio di arretratezza industriale”
Si sono anche sentite frasi che attribuiscono ai movimenti di libera espressione su internet e di diritto all’informazione l’etichetta di modelli di “socialismo e demagogia” che, parole esatte, “hanno vinto” la battaglia contro la delibera AGCOM che sarebbe stata convinta a “tornare indietro” sui propri passi da questo movimento che non è “adulto” ( altra frase esatta).
Lo stesso rappresentante ha poi aggiunto che vi è “molta ignoranza” sul tema e ha affrontato il discorso della tutela dei contenuti su internet affermando “solo noi vi garantiamo il futuro” intendendo non il futuro dei titolari dei diritti, come sarebbe lecito attendersi, ma quello di tutti gli utenti digitali.
Come si sostanzi questa garanzia per tutti noi non è dato peraltro sapere.
Per giustificare il ruolo degli intermediari nel settore della produzione di contenuti si è poi fatto un riferimento a fatti realmente accaduti nel mondo della musica: ovvero si è detto che senza Caterina Caselli (nota ex cantante e produttrice) non ci sarebbero state le canzoni odierne mentre senza Domenico Procacci ( noto produttore cinematografico e televisivo) non ci sarebbe stato Lele Mora.
Ora francamente l’ultimo paragone, visto gli ultimi sviluppi giudiziari mi ha un po’ inquietato, atteso che personalmente desidererei una diversa figura di intermediario nell’economia digitale e televisiva del presente e del futuro.
Ciliegina sulla torta le raccomandazioni che lo Studio Commissionato da Mediset ad un istituto di ricerca, che verrà presentato anche a Bruxelles i primi di novembre 2011, su “Italia Audiovisiva: diritto d’autore e creatività” secondo qui fra l’altro bisogna “evitare il rischio di rendite parassitarie da parte di nuovi “player”, che non hanno certamente alcuna vocazione genetica e storica ad investire in contenuti di qualità, ma utilizzano la rete come strumento squisitamente mercantile: è necessario ridurre le asimmetrie che caratterizzano l’attuale asset di mercato, imponendo a tutti gli operatori regole uguali, allorquando si veicola in qualche modo content pregiato.
In questa prospettiva, riteniamo si debba procedere con estrema prudenza nell’ipotizzare scardinamenti di principi tradizionali come la “territorialita’” e nell’introdurre pratiche come quella delle “licenze collettive”.
Quest’ultima frase risulta “quasi ironica”, dal momento che le agenzie hanno battuto in giornata la notizia secondo la quale la Corte di Giustizia UE ha affermato, in relazione ai diritti televisivi, che il principio di territorialità ( e i diritti di esclusiva) sui diritti televisivi delle partite di calcio, non può costituire una rendita monopolistica a svantaggio della libera circolazione di merci e servizi all’interno dell’unione e che tali clausole devono quindi ritenersi contrarie ai principi di libera concorrenza.
Sentenza che Confalonieri non ha potuto leggere, visto che è arrivata in tarda serata, ma che ha comunque dichiarato alle agenzie di voler impugnare.
Così, sulla fiducia.
Insomma, anche nel settore della creatività e nel contesto digitale l’Italia, ancora una volta, ha deciso di andare controcorrente rispetto all’intero resto del Mondo, non comprendendo l’importanza dei nuovi modelli di distribuzione dei contenuti ed arroccandosi su meccanismi di business secolari che non sono più immaginabili nel mondo prefigurato e realizzato da grandi figure dell’imprenditoria quali Steve Jobs.
Fulvio Sarzanawww.fulviosarzana.it
Studio Legale Roma Sarzana & Associati